E’ stato reso noto dall’Agenzia per la Rappresentanza negoziale delle Pubbliche amministrazioni -Aran, il nuovo numero del “Rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti”, che fornisce, a conclusione della stagione contrattuale 2016-2018, la sintesi sulla tempistica dei rinnovi con la specifica delle singole fasi e tappe procedurali (sia per le aree dirigenziali che per il personale dei comparti).
Sulla base dei dati di Contabilità Nazionale Istat, il Rapporto mostra gli effetti di tali rinnovi contrattuali sulle retribuzioni di fatto, sia in una prospettiva temporale che di confronto con i settori privati. I dati evidenziano un tasso medio di crescita nel periodo 2015-2019 dell’1,5% a fronte dello 0,9% del settore privato. Nel quinquennio precedente, 2015-2010, le retribuzioni nel pubblico hanno avuto un arretramento dello 0,5%, a causa del blocco dei contratti, contro una crescita dell’1,4% nel privato. Guardando invece al ventennio 2000-2019, la crescita media nella PA è stata del 2% che si confronta con un 2,1% per il privato.
Il Rapporto inoltre, dedica una sezione i rinnovi del periodo 2019-2021, con l’aggiornamento del quadro delle risorse finanziarie stanziate nelle ultime tre leggi di bilancio. Con la legge di bilancio del 2021, lo stanziamento complessivo a regime su tutta la PA ha raggiunto la cifra complessiva di 6,8 miliardi di Euro (nel precedente triennio 2016-2018 le risorse complessive per tutta la PA sono state pari a circa 5,4 miliardi di Euro), corrispondente a incrementi del 4,07% e ad incrementi complessivi medi mensili a regime di 107 euro per le amministrazioni statali.
Di particolare rilievo l’ultima sezione del Rapporto, dedicata alle retribuzioni relative all’ultimo rinnovo contrattuale, ai dati, aggiornati a settembre 2020, sulle retribuzioni contrattuali mensili (cioè le componenti fisse della retribuzione, la cui dinamica risente in modo diretto degli incrementi definiti a livello di contratto nazionale).
Sulla carta l’aumento in busta paga è stato di 107 euro ma questo importo è al lordo dell’elemento perequativo (lo strumento di adeguamento delle buste paga dei lavoratori con redditi più bassi). Né infermieri né docenti sono arrivati a questa cifra: i primi si fermerebbero a 91,50 euro lordi, mentre i secondi arrivano ad un importo di 97 euro medio (senza conteggiare l’ elemento perequativo ed al lordo dell’indennità di vacanza di 15 euro); va ancora peggio alla categoria base dei dipendenti pubblici degli enti locali cat. A: l’aumento in busta paga è stato di appena 60,30 euro al netto dell’elemento perequativo e al lordo dell’indennità di vacanza.
Fonte: Infermieristicamente.it